iconologia e bibliografia

Iconologia
overo descrittione dell'imagini universali cavate dall'antichità et da altri luoghi da
Cesare Ripa Perugino, opera non meno utile, che Gigliotti, MDXCIII, con Privilegio et con Licenza de' Superiori.

Ripa, Cesare (1560?-1625)
Iconologia del Cavaliere Cesare Ripa
Perugino Notabilmente Accresciuta d'Immagini, di Annotazioni, e di Fatti dall'Abate Cesare Orlandi...
5 vols. Perugia: Stamperia di Piergiovanni Costantini, 1764-67.
Libro con belle xilografie in seppia pubblicate in Internet

Prima edizione elettronica in database
3 dicembre 2007 - elaborazione di ASiM
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ICONOLOGIA

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Voce AVARIZIA
Descrizione DONNA, pallida, e brutta con capelli negri, sarà macilente, e in abito di serva, e le si legga in fronte la parola PLOUTON cioè Pluto, il quale fù Creso Dio delle ricchezze.
Sarà cinta di una Catena d'oro, trahendosene dietro per terra gran parte. Mostrerà le mammelle ignude piene di latte. Terrà con la mano manca un Fanciullo ferito in mezo al petto, e con la medesima mano un coltello insanguinato; nella destra una Tazza d'oro, ove raccolga il sangue, che esce dalla ferita, quasi acconcia per beverlo. Pallida si dipinge perché l'impallidisce il continuo pensiero di accumular tesoro, con appetito insatiabile di fare suo tutto quello, che è d'altri, senza haver riguardo, o a forza di leggi, o a convenienza di sorte alcuna. È ancora la pallidezza effetto di timore, il quale stà sempre abondantissimo nelle viscere dell'uomo avaro, non si fidando d'alcuno, e molte volte a pena di se medesimo, per la gelosia, che ha di non perdere una minima particella di quello, che possiede. L'abito servile, e sozzo, e la catena d'oro acconcia nella maniera, che dicemmo è segno manifesto della ignobile, e vil servitù dell'avaro. La scritta della fronte ci dichiara, che l'uomo avaro in tutte le sue attioni si scuopre per quello, che è, nè si sà celare in alcuna cosa e, per osservarsi questo costume con gli Schiavi, si mostra la condicione de gli avari, medesimamente schiavi della ricchezza. La Catena dell'oro, che si tira dietro ci mostra, che i tesori, e le gran facoltà, a chi ben considera, sono peso faticosissimo, e impaccio molto noioso, e il fanciullo amazzato co'l sangue, che essa mostra volersi bere, è indicio, che non è alcuno veramente avaro, che non sia crudele, usurpandosi quell'utile, che con proprij sudori la povertà per vivere si procura. Et, essendo la Maestà di Dio solita d'arricchire più l'uno, che l'altro, acciò non manchi l'occasione d'operare virtuosamente in tutti gli stati, secondo la vocatione di ciascuno, l'avaro prevertendo questi ordini, quello, che ha acquistato più tosto lascia marcire con ingordi disegni, che l'adoperi a sovvenimento de' bisognosi.

DONNA, vestita del color del Ferro, sarà scapigliata, e scalza, nella destra mano tenendo un Rospo, e con la sinistra una borsa legata. L'Avarizia si può dire, che sia uno sfrenato amore, e appetito d'havere, simile ad una fiera insatiabile, e divoratrice di tutte le cose, che non cessa mai di coprire con grosso velo il viso alla ragione, e con disusata forza spezzare il freno della temperanza con appetito insatiabile et, non guardando, che cosa sia fede, transmuta i cuori pietosi in crudeli, e si fà universal guastatrice delle virtù. Consiste l'Avarizia principalmente in tre cose: prima è desiderare più del convenevole la robba d'altri, perché la propria stia intiera, e però le si dipinge il Rospo nella destra mano, il quale si astiene di quello di, che ha grandissima copia; Poi in acquistare più di quello, che è necessario; e però ha dipinto la veste del color di ferro, o della ruggine, che lo consuma. Vltimamente, è, ritenere inordinatamente le cose sue, e ciò si rappresenta nella borsa serrata. L'Alciato assomiglia l'Avaro ad un Asino carico di pretiose vivande, che per nodrir se stesso mangia le spine, e dice così:
L'HUOM ch'ammassa dinari, e è sì vile
Che si pasce di rape, o cosa tale,
Nè mai, per cangiar pelo, cangia stile,
Ch'avarizia maggior sempre l'assale,
È veramente a l'Asino simile,
Che, quanto il peso più ch'ei porta vale,
Ei men l'assaggia, e per vivanda cara
Sol si pasce di spini, e herba amara.

CON le mani di uccello di rapina, cinta di serpenti, e con un piede posato nella Terra, l'altro nel Mare, la finse M. Cristoforo Lauro, il quale merita particolar memoria per la sua virtù, e per la benevolenza mia, acciò che si mostrasse ancora così la inquieta natura de gli avari, che ogni cosa avidamente prendono, e abbracciano, con desiderio di assorbire, e divorare tutto il Mondo, con veleno di mala conscienza, che rode loro, e consuma l'anima.

DONNA, pallida, e magra, che nell'aspetto mostri affanno, e malinconia, a canto havrà un Lupo magrissimo, e a guisa d'Idropico avrà il corpo molto grande, e sopra vi terrà una mano, per segno di dolore, e con l'altra tenga una borsa legata, e stretta, nella quale miri fisamente. Il Lupo, come racconta Cristofaro Landino, è animale avido, e vorace, il quale non solamente fà preda aperta dell'altrui, ma ancora con aguati, e insidie furtivamente, e se non è scoperto da Pastori, o da Cani, non cessa sino a tanto, che tutto il gregge rimanga morto, dubitando sempre di non havere preda a bastanza. Così l'avaro hora con fraude, e inganno, hora con aperte rapine toglie l'altrui, nè però può accumular tanto, che la voglia si satij. Dipingesi a guisa dell'Idropico, perché sì come questo non ammorza mai la sete per lo bere, ma l'accresce, così l'avarizia tanto cresce nell'uomo quanto crescano i Tesori. Però disse Oratio nelle Ode:
Crescit indulgens sibi dirus hydrops?
Nec sitim pellit, nisi caussa morbi
Fugerit venis, e aquosus albo
Corpore languor. Et Seneca ancora,
Avaro deest, tam quod habet, quam quod non habet.
La Magrezza del lupo dinota l'insatiabile appetito dell'avaro, e l'inconveniente tenacità della robba, che possiede. Si fà con la borsa serrata, godendo più nel guardare i danari, come cosa dipinta per diletto, che in adoprarli come utile per necessità. Et molto a proposito mi pare in questa occasione l'Epigramma di un nobile Accademico di Roma contra uno avaro de' nostri tempi, quale scriveremo nella sua lingua, per non sminuirgli la gratia. Et dice così:
Ut parcas opibus tibi quid non parcis? an unquam
Augendi census terminus ullus erit?
Desine divitias fulvo cumulare metallo. Tàm tibi deest quod habes, quàm quod habere nequis,
Quid tam obduras toties, quid Pontice iactas?
Non nisi qui frugi est, possidet ullus opés. Tu mihi dives eris, qui ne quo tempore partis
Divitiis egeas, Pontice semper eges?

SI dipinge da gli Antichi Tantalo in un fiume coperto dall'acqua sino alla gola, al qual sopra la testa pende un Albero carico di frutti, in modo che egli non possa arrivare con le mani a i frutti per satiar la fame, nè al fiume per smorzarsi la sete, secondo il detto di Horatio:
Tantalus a labris sitiens fugientia captat
Flumina, con quel, che segue.